sabato 26 novembre 2016

RISO GRAZIA e L’ITINERARIO CULTURALE ‘LE VIE EUROPEE DEL RISO’




Il luogo, per una conferenza stampa, era singolare.
Osteria l’Anfora, nella zona del ghetto, a Padova.
Forse l’unica osteria, ancora tale, non contaminata, dove il pianoforte suona per davvero,
con l’Emilio che canta.
Miglior posto e migliore compagnia non potevano toccare ai giornalisti e ai comunicatori
per saperne di più della rassegna Borghi d’Europa (1-4 dicembre, Bassa Padovana e Bassa Veronese),
grazie all’istinto della rete dei borghi europei del gusto.
Il resto lo hanno fatto i vini , i cicchetti e un bel piatto di bigoi che l’Alberto ha sciorinato
fra una chiacchiera e l’altra e il ‘racconto’ di esperienze di territori benedetti ma poco
conosciuti, che si tenterà di promuovere ed inserire nei progetti europei.
E poi le storie che Alessandro Grazia, di Minerbe, ha saputo raccontare : la Riseria della
Bassa Veronese (Riso Grazia,appunto), generazioni di impegno passione e sacrifici .
La storia ha inizio nel 1946 quando Antonio Grazia, con spirito di intraprendenza e grande impegno, dà vita alla “Riseria del Basso Veronese”, con sede a Legnago (VR). Le capacità imprenditoriali del fondatore, unite alla conoscenza delle zone vocate alla produzione del
riso, consentono una costante ascesa della Riseria che, nel 1984, ad opera del successore
Gaetano Grazia, si trasferisce nella nuova sede di Minerbe. Nel 2004 la Riseria ottiene la certificazione di qualità ISO9001. Dal 2009 l’azienda è gestita dai nipoti del fondatore:
Alberto e Alessandro Grazia che nel 2013 ampliano lo stabilimento.

Ma non è soltanto la storia di un successo imprenditoriale e commerciale che Alessandro ha raccontato. E’ anche la storia di un nuovo progetto culturale che porta l’azienda di Minerbe ad
impegnarsi in un nuovo percorso : la nascita di un Itinerario Culturale ‘Le Vie Europee del
Riso’,che comprenderà le diverse zone di produzione del nostro Paese, della Spagna, della
Francia e della Grecia. Itinerario che è nato, ufficialmente, nel Ghetto di Padova, all’Osteria l’Anfora,e che ha già trovato un proprio spazio informativo nei quotidiani locali.
E Diosa, di quanto ha bisogno di notizie siffatte il nostro Paese !
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venerdì 21 ottobre 2016

Bolgheri,Borgo del Gusto

Predappio,Borgo del Gusto

Predappio (La Pré o Dvia in romagnolo) è un comune italiano di 6.419 abitanti della provincia di Forlì-Cesena, circa a 15 km a sud del capoluogo, Forlì. Dal 18 luglio 2006, con decreto del presidente della Repubblica, si fregia del titolo di città.

Predappio, Predappio Nuova, Predappio Alta e Dovia

A partire dalle sue origini, probabilmente romane, fino ai primi anni venti, Predappio era un paese di modeste dimensioni che sorgeva sulle colline dell'Appennino forlivese e che, cresciuto attorno al castello medioevale, guardava dall'alto della propria fortificazione la sottostante valle del Rabbi lungo la quale si trovavano piccoli nuclei abitati, frazioni e case isolate che costituivano il contado della comunità di Predappio. Lungo la valle, a circa 2 km da Predappio, era la località nota con il nome di Dovia (probabile toponimo romano, Duo Via) che verso la seconda metà dell'Ottocento era costituita da poche case sparse di contadini, mezzadri e qualche artigiano. Unici centri di aggregazione della località, erano una scuola e l'osteria, quest'ultima ancora esistente. Fu in una abitazione di Dovia che nacque Benito Mussolini il quale, negli anni venti, decise l'edificazione di un nuovo centro abitato. Cogliendo anche l'occasione fornita da una frana che aveva colpito Predappio e aveva lasciato numerosi abitanti senza tetto, si decise la fondazione, in Dovia e nelle aree circostanti, di un nuovo paese che fosse costruito seguendo i nuovi dettami architettonici del nascente regime. Predappio, insieme alla vicina Forlì, divenne la "Città del Duce", meta di "pellegrinaggi" dei fascisti.
Il nuovo centro abitato prendeva il nome di Predappio Nuova (e che di fatto inglobava, facendola sparire, la località Dovia), mentre con Predappio si continuava ad indicare il vecchio abitato sulle colline. Con il passare degli anni, i nomi alle due comunità vennero cambiati, identificando con Predappio solamente la Predappio Nuova (che nel frattempo era aumentata sia in termini di popolazione che di importanza) mentre l'abitato antico, sulle colline, assumeva il nome di Predappio Alta (la Pré in romagnolo).

Storia

Predappio e Fiumana

La storia di Predappio inizia sin dall'epoca dei Romani. In quegli anni infatti Augusto divise l'Italia in undici province. Predappio era parte della sesta provincia. Si narra che il nome derivi dall'insediamento in queste località di una antica famiglia romana: gli Appi. La località venne così denominata Praesidium Domini Appi e abbreviata con Pre.D.i.Appi. Nella frazione di Fiumana, a conferma di ciò, sono state trovate, pochi anni fa, le rovine di una antica villa romana.
Sino al 1927 l'odierna frazione di Predappio Alta era anche capoluogo. Dopo il 1927, con il podestà Pietro Baccanelli, esso fu spostato nella frazione Dovia ed è oggi l'attuale Predappio capoluogo (o anche Predappio Bassa, anche se il suo nome originale è Predappio Nuova). Due anni prima, nel 1925, il comune di Fiumana si era unito a quello di Predappio divenendone una frazione.
Fiumana conta una popolazione di circa 1950 abitanti e sorge sulle rive del fiume Rabbi, lungo la strada statale 9 ter che unisce Forlì, a circa 10 km, e Predappio, a circa 5 km. Fiumana rimase comune fino al 1925, anno nel quale le autorità fasciste ne decisero l'incorporamento nel comune di Predappio.
Sono presenti le rovine di un castello, una antica chiesa e i resti di una villa romana del I secolo d.C.
Si hanno rinvenimenti archeologici che attestano la presenza di insediamenti umani fin dall'età del bronzo e, di epoca romana, rimangono i resti di una villa scoperta nel 1960 da Bernad Montanari. Probabilmente l'edificio appartenne a ricchi possidenti terrieri e rimase abitato dal I al IV secolo d.C.
Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente e in seguito alle invasioni barbariche si perde notizia di Fiumana fino all'XI secolo. Nel 1045 si ha la prima notizia di un monastero benedettino e, del 1068, se ne conosce anche il nome dell'abate: Ego Bonizio. Il monastero assume sempre maggiore importanza, per decadere però verso il XV secolo.
Nel 1304 fu posseduta dal marchese degli Argugliosi.
Nel giugno del 1424 le truppe di Pandolfo III cingono d'assedio il castello di Fiumana che in breve capitola. Nel 1434 Antonio Ordelaffi riceve da papa Eugenio IV il riconoscimento della signoria forlivese ricevendo in possesso anche i territori di Fiumana.

La fondazione di Predappio Nuova

Lavori e materiali per la fondazione di Predappio Nuova in una fotografia risalente al dicembre 1925
Cerimonia ufficiale per la fondazione di Predappio Nuova
Una frana avvenuta nell'inverno a cavallo fra il 1923 ed il 1924 rese indispensabile, per mettere in sicurezza la popolazione e fornire un tetto a chi lo aveva perduto, lo spostamento dell'abitato di Predappio in una posizione più sicura.
Per la ricostruzione dell'abitato si scelse, per diverse ragioni, la località di Dovia: la zona era infatti più sicura, sul piano geologico, rispetto a Predappio: sorgeva lungo la valle, lontano da potenziali eventi franosi. Era ben collocata, al contrario di Predappio che era arroccata sulle colline, rispetto al tracciato della strada provinciale che congiungeva Forlì a Premilcuore e era la località che aveva dato i natali a Mussolini.
Il 30 agosto 1925, accompagnato da Italo Balbo, giunse in Romagna il segretario del partito fascista Roberto Farinacci con il mandato di fondare Predappio Nuova. Il momento culminante della visita furono l'inaugurazione di una targa celebrativa in bronzo sulla facciata della casa natale di Mussolini e la posa della prima pietra sia delle case popolari sia della chiesa di Santa Rosa da Lima (oggi Sant'Antonio da Padova), che diverrà poi nota per la celebre Madonna del fascio.
Sebbene non si fosse presentato alla cerimonia di inaugurazione della fondazione di Predappio Nuova, Mussolini non si terrà a lungo lontano dai cantieri. Nel maggio del 1926, vi si recò per valutare lo stato dei lavori.
Fu durante tale vista che il "duce" visitò la propria casa natia, ordinando la rimozione della lapide di bronzo che l'anno prima Farinacci aveva fatto apporre, in quanto contrastava con l'intenzione che Mussolini aveva di mantenere nelle condizioni più umili possibili i propri luoghi dell'infanzia.

Da Predappio a Predappio Nuova

Il 17 febbraio 1927 venne promulgato un regio decreto legge con il quale si stabiliva il trasloco della sede municipale da Predappio (quella che attualmente è chiamata Predappio Alta) al nuovo centro abitato denominato Predappio Nuova. Al nuovo comune venivano così assegnate competenze territoriali ampie e rilevanti, dovuto anche al fatto che dal 1925 era stata inglobata anche l'area territoriale del comune soppresso di Fiumana.

Cinto Caomaggiore, Borgo del Gusto

Cinto Caomaggiore (Cint in friulano occidentale[3][4], Sinto in veneto) è un comune italiano di 3 243 abitanti della città metropolitana di Venezia in Veneto. Fa parte dell'ex mandamento di Portogruaro: l'ente territoriale è stato istituito con Decreto del Regno d'Italia del 29 aprile 1806 "Decreto riguardante l'organizzazione in dipartimenti degli Stati Veneti".
Nel referendum consultivo del 26 e 27 marzo 2006 il 59,79% degli aventi diritto ha manifestato la volontà di passare sotto l'amministrazione regionale del Friuli Venezia Giulia (provincia di Pordenone).

Geografia fisica



Il territorio comunale si trova nella pianura friulano-veneta, nella cerniera che collega l'alta pianura pordenonese e la bassa pianura portogruarese. Il terreno è generalmente pianeggiante, tende ad abbassarsi nel centro del paese e lungo i corsi d'acqua.
Il comune è attraversato dai fiumi Caomaggiore e Reghena, di cui lo stesso Caomaggiore è affluente, e da molteplici canali, i più importanti: il Melon, il Suiedo, il Lison, il Trator e il San Piero (vecchio corso del fiume Reghena, prende il nome da una piccola chiesetta che esso costeggia). Il sottosuolo è attraversato da un ramo del Tagliamento che alimenta le diverse risorgive che interessano il comune, ed in particolare "i Laghi di Cinto", delle ex cave di ghiaia oggi allagate, questi laghetti artificiali sono ricchi di fauna acquatica e fanno da tappa per molti volatili.
Si estende su una superficie di 21,47 km², da un'altitudine minima di 6 metri, ad una massima di 8 metri s.l.m..

Storia

Origini

Cinto Caomaggiore ha probabilmente origini romane, il nome Cinto sembra infatti che derivi da ad quintum, ovvero a 5 miglia da Concordia Sagittaria, il più importante centro abitato dell'epoca in zona. Esiste, però, un ulteriore ipotesi che fa derivare il nome da Cintum, ovvero, luogo cintato da mura. D'altro canto in alcuni documenti medioevali catastali si fa riferimento alla Villa di Cinto con la parola Cintho o Curto. Come si può desumere tuttora non si è trovata ancora un'origine certa del nome. Associazioni culturali e sportive sono attive in Cinto Caomaggiore , tra queste anche un settore di particolare interesse archeologico,una testimonianza dei reperti di epoca preromana e romana.Il volume con le raccolte dei dati, le illustrazioni, le foto dei rinvenimenti antichi e le mappe si possono consultare nella biblioteca comunale e sono stati eseguiti da Luigi Rossi, botanico, topografo e ricercatore, con la collaborazione di Livio Marcorin.
La seconda parte del nome Caomaggiore deriva invece dall'omonimo fiume Caomaggiore che attraversa il territorio del paese. A sua volta sembra derivi da "Campo Maggiore", forse denominazione di un terreno limitrofo al fiume.

Dall'epoca romana al Medioevo

Diversi reperti archeologici rivelano che l'area occupata dal Comune di Cinto Caomaggiore fosse interessata alla presenza dei Romani già nel I secolo d.C., rappresentava un punto di passaggio per giungere a Iulia Concordia (attuale Concordia Sagittaria). Già territorio sottoposto all'Agro Concordiese, il legame con la città romana si sarebbe poi rafforzato alla fine del IV sec., con la fondazione della diocesi di Concordia (attuale diocesi di Concordia-Pordenone) da parte del vescovo di Aquileia, la cui autorità non venne comunque meno, anzi, in seguito la rafforzò gestendo il territorio mediante propri Gastaldi.
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, in un periodo condito di scorribande barbariche e di straordinarie alluvioni (in vari momenti, i fiumi Tagliamento e Livenza erano divenuti un unico fiume), con la costituzione del Ducato Friulano del Regno dei Longobardi nel 568, il territorio di Cinto Caomaggiore viene inserito nell'ambito territoriale di questo. Con l'avvento dei Franchi e la costituzione del Sacro Romano Impero, il Ducato Friulano è soppresso e nel 3 aprile 1077 sostituito dal Patriarcato di Aquileia. Così anche il territorio di Cinto Caomaggiore diviene parte integrante del nuovo soggetto politico. Ciò è comprovato dal fatto che i Patriarchi di Aquileia dal quel momento in poi avrebbero nominato un proprio Gastaldo, curatore dei Beni patriarcali, per l'allora Villa di Cinto.
All'interno dell'Amministrazione patriarcale le Ville di Cinto e Settimo (attuale località del Comune) vengono inserite nella Gastaldia di San Vito al Tagliamento. In seguito, tale Gastaldia sarebbe stata divisa nell'ambito del Patriarcato tra la Gastaldia di Meduna, a cui fu aggregata la Villa di Cinto e la Gastaldia di San Vito, a cui fu aggregata la Villa di Settimo. Il 3 maggio 762 i fratelli Erfo e Marco, figli di Piero, Duca del Friuli, donano all'abbazia benedettina di Santa Maria in Silvis, collocata a Sesto al Reghena (comune limitrofo a Cinto e Settimo), tutti i loro beni parte dei quali si trovano anche a Settimo. È un fatto importante poiché attrarrà la Villa di Settimo sotto il controllo dell'abate sestense.

La dominazione veneziana

Nel 1420 il Patriarcato venne assorbito dalla Repubblica di Venezia. All'interno del nuovo soggetto politico i Territori del Patriarcato, compreso quindi le Ville di Cinto e Settimo, vennero riuniti nella Patria del Friuli, che nella pratica rappresentava l'ente amministrativo sostitutivo del Patriarcato. È utile rilevare che la Repubblica lasciò ampia autonomia al nuovo ente, in particolare lasciò sopravvivere il Parlamento del Friuli, organo costituito dai rappresentanti delle città friulane, tra le quali vi era Portogruaro che vantava un proprio seggio.

La dominazione napoleonica e austriaca e l'annessione al Regno d'Italia

Con l'avvento di Napoleone nel 1797 (trattato di Campoformio) la Repubblica di Venezia cessò di esistere e i relativi territori, tra cui la Patria del Friuli, furono assorbiti dall'Impero Austriaco. La Patria del Friuli fu trasformata insieme ai suoi territori, tra cui le Ville di Cinto e Settimo, nella Provincia del Friuli con sede a Udine. Nel 1805 fu annessa al Regno d'Italia dell'Impero Francese.
Questo è un periodo importante poiché Cinto e Settimo inizialmente furono inserite nel Dipartimento del Tagliamento (grosso modo le attuali Province di Treviso e Pordenone), in seguito nel Cantone di Portogruaro che con un regio decreto del 1806 veniva aggregato insieme al Cantone di Aquileia al Dipartimento dell'Adriatico di Venezia, ovvero la futura Provincia di Venezia. Le motivazioni che portarono i francesi a strappare questi territori friulani dal Dipartimento di Passariano, ovvero l'ente successore della Patria del Friuli, riguardavano il rischio di rendere il Dipartimento Adriatico meno importante di quelli confinanti, in particolare del Dipartimento di Passariano.
I francesi mal vedevano il fatto di ridurre Venezia, dall'estesa e potente Repubblica che fu, ad una semplice e ridotta provincia del Regno. Tutto ciò in contrasto con le realtà friulane di Portogruaro e Aquileia. È un periodo di intense riforme locali, che miravano a rigenerare un'area sostanzialmente disarticolata ed economicamente stagnante. Con l'introduzione dell'istituto municipale, le Ville di Cinto e Settimo furono unificate nel Comune di Cinto Caomaggiore. Tale ente comunale subì parecchie modifiche territoriali. Infatti, determinandosi una politica amministrativa che promuoveva la costituzione di Comuni con un minimo di abitanti elevato, a Cinto furono annessi i Comuni contigui di Gruaro e Pramaggiore, in seguito si procedette comunque alla relativa separazione. Non mancò neppure la fusione in unico Comune di tutto il mandamento portogruarese e la relativa tempestiva dissoluzione.
Nel 1815 col congresso di Vienna si sancì l'appartenenza degli ex territori della Repubblica di Venezia all'Impero Asburgico. La nuova amministrazione austriaca trasformò il Dipartimento di Passariano nella Provincia di Udine, alla quale restituì solo Aquileia. Infatti, all'ex Dipartimento Adriatico, divenuto Provincia di Venezia, rimase il Mandamento di Portogruaro, a cui erano aggregate Cinto e Settimo. La motivazione di tale decisione rimaneva simile a quella francese.
Nel 1866 i territori delle Venezie furono annessi dal Regno d'Italia, che lasciò l'organizzazione amministrativa sostanzialmente immutata.
Nel 1867 il comune di Cinto assunse la denominazione di "Cinto Caomaggiore"[10].
Con l'avvento delle bonifiche delle terre del portogruarese emerse l'esigenza di nuova e abbondante manodopera che le popolazioni autoctone del portogruarese non potevano soddisfare. È così che ha inizio una nuova pagina anche per il Comune di Cinto Caomaggiore. Numerose famiglie vicentine e padovane raggiunsero il mandamento e si distribuirono in esso. Si costruirono grandi case coloniche, i paesi cambiarono fisionomia, la secolare stasi di Cinto come del Portogruarese sembrava aver ricevuto finalmente una scossa. Ma arrivano le due Guerre e le relativi crisi. La Resistenza coinvolse anche Cinto e Settimo, anche se in paese non si distinsero eventi di rilevante interesse.

Il dopoguerra

Con l'Assemblea Costituente del 1946, nel disegnare i confini del Friuli Venezia Giulia fu proposto di effettuare un referendum per l'aggregazione del Mandamento di Portogruaro alla Regione costituenda nell'ambito della futura Provincia di Pordenone, fatto che gli amministratori locali vedevano positivamente, ma col rinvio della costituzione della Regione del Friuli-Venezia Giulia finalizzato all'atteso ritorno di Trieste all'Italia, il progetto referendario fu dimenticato.
Nel frattempo il Comune vive l'emigrazione della popolazione verso Svizzera, Francia, Germania, ecc. Grazie a questi emigranti si diffonde nel paese un certo benessere, pur restando ad economia sostanzialmente rurale. L'effetto del boom economico degli anni cinquanta si fa sentire anche a Cinto e Settimo. Nel Pordenonese nascono nuove industrie tra cui la Zanussi, che necessitano di manodopera. È così che inizia una nuova fase di pendolarismo per i Cintesi, che si recano a Pordenone per lavorare. Nel 1953 nasce la più importante fabbrica del paese, la B.P.T. (Brevetti Plozner Torino). Rimane comunque l'agricoltura il settore determinate per il Comune.
Negli anni sessanta nella vicina Pordenone si fanno sentire i richiami per costruire una nuova e grande Provincia del Friuli Occidentale, comprendente la stessa Pordenone e Portogruaro, ma non prende forma un vero e proprio movimento aggregazionista. Negli anni settanta la popolazione conosce un scolarizzazione secondaria incrementata, aumentano gli artigiani e inizia a cambiare la struttura del nucleo familiare, in sostanza iniziano a disgregarsi le grandi famiglie delle case coloniche e i relativi figli trovano lavoro nelle fabbriche vicine.
Negli anni ottanta le amministrazioni comunali cintesi scelgono di sviluppare i settori agricolo ed ambientale. Contrariamente, i comuni limitrofi operano una politica industriale. È una scelta importante, ma altrettanto impegnativa, che determinerà un deficit per l'economia del Comune. Tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta lo sviluppo mancato e costi di amministrazione dei servizi elevati legati a tagli nei trasferimenti pubblici sempre più frequenti sono alla base di una nuova proposta: la fusione dei Comune di Cinto Caomaggiore con i Comuni limitrofi, a est Gruaro e a ovest Pramaggiore.

La causa friulanista



Nel 1989 la causa friulanista si riaccende, i Comitati Locali del mandamento portogruarese, tra cui quello di Cinto Caomaggiore con rappresentanti e fondatori del movimento "Dai monti al Mare" (in seguito rinominato Movimento Provincia di Pordenone Portogruaro) Tarcisio Zorzi e Giampietro Del Gallo ricominciano la battaglia per la riunificazione del Mandamento col Friuli. Nonostante i duecento anni di convivenza veneta, i 1238 anni di unione col Friuli si fanno sentire. Seguirono i referendum consultivi autogestiti in vari comuni tra cui Cinto Caomaggiore del 1991, in cui la maggioranza della popolazione dichiarava la volontà di riunificazione. Risultato rispecchiato anche negli altri Comuni (Annone Veneto, Pramaggiore, Gruaro, Teglio Veneto e San Michele al Tagliamento).
Non fu possibile effettuare all'epoca il referendum a norma dell'art. 132, comma 2 della Costituzione a causa del pesante procedimento previsto dalla legge sui referendum (legge 25 maggio 1970, n. 352) che all'articolo 42, comma 2, prescriveva la delibera del Consiglio comunale del comune interessato corredata da tante delibere di comuni o province che rappresentassero un terzo della popolazione della regione d'appartenenza e tante altre della regione di destinazione. Con la riforma costituzionale del 2001 la ridefinizione dell'articolo 132, comma 2, fu alla base della sentenza della Corte Costituzionale n°334 del 2004 che dichiarò illegittima la prescrizione relativa al “corredo della delibera”.
Così nel 2005 il Comune di Cinto Caomaggiore deliberò a favore del referendum, effettuato poi nel 26 e 27 marzo 2006. Il 59,79% degli iscritti andò a votare, e di questi il 91,5% chiese l'aggregazione con il Friuli. Con tale referendum inizia il procedimento istituzionale che prevede un disegno di legge ministeriale che prescriva il distacco-aggregazione, i pareri dei due Consigli regionali del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, e la legge della Repubblica. Il Ministro degli Interni ha già redatto il disegno di legge costituzionale (essendo coinvolta una regione a statuto speciale, il ministero ha preferito derogare alla norma che prevede la redazione di un disegno di legge ordinaria) e la regione Friuli - Venezia Giulia ha già emesso parere favorevole all'ingresso di Cinto Caomaggiore nel proprio territorio.

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Pravisdonini, Borgo del Gusto

Pravisdòmini (Pravisdòmini in veneto e in friulano) è un comune italiano di 3 482 abitanti della provincia di Pordenone in Friuli-Venezia Giulia.

Storia

Le origini del nome
Il toponimo deriva dal latino pratum vice domini espressione con cui si indicavano i possedimenti che un visdomino amministrava per conto del patriarca di Aquileia o del vescovo di Concordia.
I primi insediamenti nel territorio di Pravisdomini risalgono al neolitico (II millennio a.C.) e a in questo periodo vanno collocate le selci lavorate individuate presso le rive del Sile a Panigai. Si aggiungono poi dei frammenti di ceramica dell'età del bronzo.
Le testimonianze della successiva epoca romana dimostrano come il territorio, parte dell'agro di Concordia, fosse centuriato.
Le prime notizie scritte su Pravisdomini compaiono dopo l'anno Mille, ma solo dal Trecento le informazioni si fanno più chiare: prima di allora, infatti, la sua storia fu strettamente legata a quella del feudo di Frattina, amministrato dalla famiglia omonima. La circoscrizione dipendeva dal vescovado di Concordia, a sua volta sottoposto al Patriarca di Aquileia.
Con la conquista della Serenissima (1420), divenne feudo dei Michiel, mentre nel 1434 divenne parrocchia emancipandosi dalla pieve di Azzano.
Nel 1477 l'abitato fu devastato dalla celebre invasione dei Turchi che interessò tutto il Friuli.
Caduta Venezia, sotto il Regno d'Italia di Napoleone rappresentò un comune di terza classe incluso nel dipartimento del Tagliamento e nel cantone di San Vito. Passato al regno Lombardo-Veneto, divenne parte della provincia del Friuli.
Con un referendum del 18 ottobre 2015 la popolazione ha rifiutato la proposta di fusione con il comune di Azzano Decimo, con l'82,62% dei voti.

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Badia Polesine,Borgo del Gusto

Badia Polesine (Badia Polesine in veneto) è un comune italiano di 10 509 abitanti della provincia di Rovigo in Veneto, situato ad ovest del capoluogo.
È il punto di riferimento per quanto riguarda la zona dell'Alto Polesine. È lambita a nord dal fiume Adige, che la separa dalla provincia di Padova. Confina inoltre con la provincia di Verona.

Il canale più importante è il Naviglio Adigetto, che divide il comune in due aree principali, sviluppatosi da una rotta del fiume Adige, quest'ultimo passante per il comune. Il fiume Adige inoltre divide le province di Rovigo e Padova che sono collegate da un ponte (Badia - Masi). Inoltre nel territorio comunale sono presenti altri canali e scoli.
Il Naviglio Adigetto, che passa per Badia Polesine.

Storia

Il nome antico di Badia Polesine era semplicemente "La Badia", con riferimento alla nota abbazia benedettina di S. Maria della Vangadizza attorno alla quale il paese si era sviluppato. Dopo il 589 d.C., in conseguenza della rotta dell'Adige alla Cucca, nell'attuale Veronella, l'Adige abbandonò il suo antico corso. Fu così che l'Athesis abbandonò le Isole Portilia (Porcilia) Menerva, Montagnana, Este e l'alveo fu spostato più a sud ovest verso Legnago con Porto, Castelbaldo e Badia, che era foce su uno dei Sette Mari raccontati da Plinio il Vecchio in Naturalis historia (Endolaguna). Verso l'anno 900 il marchese di Mantova Almerigo fa edificare l'Abbazia che viene successivamente ceduta ai monaci Benedettini. L'abbazia era inoltre indipendente dalla diocesi di Adria. Nel 1200 Badia era circondata da una fossa ed erano collocate tre porte per l'ingresso in città. Nel 1400 inizia il declino della Vangadizza che passa sotto la proprietà della famiglia francese d'Espagnac e successivamente soppressa con decreto napoleonico nell'Ottocento. La città di Badia Polesine è sotto le dominazioni estensi, padovane, della Repubblica di Venezia, dal 1797 dei francesi e successivamente degli austriaci fino al 1866, quando il Veneto viene annesso allo Stato d'Italia. Badia Polesine risulta anche città conclusiva del percorso dell'antica via di pellegrinaggio Romea Annia, infatti i pellegrini che giungevano dal Nord Europa e dai Paesi dell'Est del continente, confluivano verso l'importante centro romano di Iulia Concordia, oggi Concordia Sagittaria. Da qui appunto, lungo la Romea Annia, percorrevano per oltre 200 chilometri tutta la bassa pianura padano-veneta da est a ovest, arrivando presso l'antica Abbazia di Badia Polesine. Dall'Ottocento la città si sviluppa; viene costruito il Teatro Sociale, l'ospedale e numerose opere pubbliche. Per quanto riguarda i trasporti viene costruito il ponte sull'Adige che collega Badia con la provincia di Padova e la linea ferroviaria Verona-Rovigo. Nel 1928 il comune ha incluso nel suo territorio parte del comune soppresso di Crocetta, che ne è divenuta frazione. Durante la seconda guerra mondiale, nell'aprile 1945 viene bombardato e distrutto il borgo San Nicolò. Negli anni sessanta sorgono in città nuove industrie a causa del boom economico italiano. A metà degli anni novanta viene ultimata la Strada Statale Transpolesana con la conseguente nascita di numerose imprese e industrie nelle sue immediate vicinanze

Mombasiglio (Cn), Borgo del Gusto

Mombasiglio (Mombasili in piemontese) è un comune italiano di 610 abitanti della provincia di Cuneo, in Piemonte. È posto fra Mondovì e Ceva a guardia della valle del Mongia.
Fa parte della comunità montana Alto Tanaro Cebano Monregalese.

Monumenti e luoghi d'interesse

Collina di Mombasiglio

Castello

Il castello, costruito intorno all'anno 1000, si trova nel borgo storico, in una zona panoramica e ben esposta. La sua storia si intreccia con quella del paese che vi è sorto intorno: fu feudo dei signori di Carassone ed un documento del 18 agosto 1090 ricorda una donazione fatta da "Bonifacius cum Ottone di Mombasilio vassallo suo" all'abbazia di Fruttuaria. Fu in seguito possesso dell'ampio consortile dei marchesi di Ceva, i quali dovettero a loro volta riconoscersi vassalli dei Savoia (1343), dei Visconti (1351) e, dopo la donazione di Asti e dell'annesso marchesato di Ceva da parte di Gian Galeazzo Visconti alla figlia Valentina (1386) appartenne al marito di questa, Luigi d'Orléans ed ai suoi discendenti. Mombasiglio costituì con Bagnasco uno dei "donzeni" in cui era diviso il masrchesato di Ceva e verso la fine del XV secolo fu confiscato sotto l'accusa di tradimento ai marchesi che lo possedevano dal governatore orleanse di Asti, Hector de Monténard. Nel 1503 Luigi XII, re di Francia (e già duca d'Orléans) donò Mombasiglio e Bagnasco a Francesco Maria della Rovere duca d'Urbino e nipote di papa Giulio II; dieci anni dopo il duca vendette i due territori al genovese Sebastiano Sauli, da cui passò nel 1522 ad un altro genovese, Agostino Lomellini, alla cui morte passò alla figlia Caterina, moglie di Giorgio Spinola. Questi, recatosi a prendere possesso del feudo, fu trucidato nel 1530 da alcuni marchesi di Ceva, eredi degli antichi proprietari, per cui la vedova si vide costretta a cedere i diritti sul castello di Mombasiglio e su Bagnasco al marchese di Finale Giovanni del Carretto (1531). Restò unita al marchesato finalese fino al 1583 quando, morto il principe Alfonso II del Carretto, il feudo fu occupato per ordine del duca Carlo Emanuele I di Savoia, pur restando i diritti feudali agli eredi del marchese di Finale. Alla morte di Sforza Andrea del Carretto, ultimo marchese di Finale (1602) Mombasiglio fu venduto dalla Camera ducale alla famiglia Sandri-Trotti di Fossano, la quale apportò al maniero vari restauri, dandovi quell'aspetto che parzialmente conserva ancora oggi: la possente torre quadrata, costruita in pietra, sul punto più alto della collina, che serviva da punto di avvistamento, segnalazione e difesa ed un torrione più basso che venne conglobato nel corpo del castello. Dal 2001 è proprietà della Fondazione Castello di Mombasiglio, sede del G.A.L. Mongioie e del Museo Generale Bonaparte.
La torre e la chiesa
Nel 1796 bivaccarono al castello le armate napoleoniche, comandate dal generale Seurener e, oggi, al primo piano, è allestito il Museo Bonaparte che ospita la collezione più estesa di stampe, di acqueforti originali di Giuseppe Pietro Bagetti sulla Prima Campagna d'Italia di Napoleone. Giuseppe Bagetti, presumibilmente, collabora con l'armata francese fin dal 1796 - 97 anche se solo nel giugno del 1800 viene designato "capitain ingénieur géographe artiste" presso lo stato maggiore. Dal 1802 è assegnato, per ordine di Napoleone, all'armata d'Italia. Il suo compito è quello di ripercorrere i luoghi dove sono avvenute le battaglie della prima campagna napoleonica in Italia (1796 - 97;1 800) per realizzare una serie di vedute, disegni ed acquarelli che, con precisione geografica, illustrino i momenti più importanti che hanno visto come protagonista il generale francese ed il suo esercito. Una sorta di reportage a ritroso per esaltare il valore dell'esercito napoleonico e del suo comandante. Napoleone fa collocare la serie di 68 acquarelli nel 1807 nella galleria del Castello di Fontainebleau dove si trova l'ufficio topografico personale dell'imperatore.

La chiesa di San Nicolao e il paese

Di notevole interesse anche la chiesa parrocchiale di San Nicolao, da poco ristrutturata, che completa con il castello la suggestiva vista del paese abbarbicato intorno alla collina: la zona del castello e della chiesa è detta " La Villa" ed è la più antica del paese.
Altre parti sono i " Piani", " Molini" e "Paruzza" che si estendono ai piedi della collina. Tali zone sono relativamente più recenti: in esse sorgono il municipio, la biblioteca e le principali attività commerciali. Nel municipio a testimonianza di una storia che si sviluppa prima ancora di quella del castello si trovano alcuni reperti archeologici: una stele in calcare del IV secolo a.C.; un'ara in marmo grigio con raffigurazione di Ercole, di età romana imperiale; una piccola stele funeraria in arenaria, di età romana imperiale; due frammenti tra loro pertinenti di una stele funeraria in pietra, di età romana imperiale.

Il ponte naturale

Si tratta di una suggestiva galleria naturale scavata dall'acqua del torrente Mongia, la sua genesi e le sue caratteristiche litologiche e strutturali ne fanno un fenomeno geologico assai raro anche a livello europeo.
Il ponte
 
Delegati a Borghi d'Europa :
Comune di Mombasiglio
Gal Monmgioie 
Museo Generale Bonaparte

Torre di Mosto (Ve),Borgo del Gusto

Torre di Mosto (Tore de Mosto in veneto) è un comune italiano di 4 749 abitanti della città metropolitana di Venezia in Veneto.

Storia

Epoca romana

Il territorio di Torre di Mosto, in epoca romana, era quasi totalmente paludoso, e marginalmente interessato dal passaggio della strada consolare Via Annia, costruita nel 131 a.C., che collegava Roma ad Aquileia. Attorno al V secolo, lungo il fiume Livenza una "turris" a difesa dalle scorrerie dei barbari minacciantiti da nord. Fu proprio col la discesa delle popolazioni barbare dei longobardi che Torre fu stabilmente abitata dagli abitanti fuggiti dalla romana Oderzo. Poco più a sud fondarono Heraclia, poi Eraclea, che divenne ben presto ricca e popolosa grazie ai commerci via acqua.

Medioevo

Al termine del VII secolo la zona, sempre più malsana, entrò nell'orbita della nascente Serenissima, e divenne a vocazione agricola. I contadini edificarono un borgo presso l'antica cappella dedicata a San Martino e una seconda robusta torre fu eretta dai dogi a difesa di Heraclia. Nel 1411 il villaggio di "Torre" fu distrutto e la torre rasa al suolo dagli Ungari, ma il tutto fu ricostruito grazie ai nobili veneziani Da Mosto, proprietari terrieri di quei luoghi. Da allora la zona iniziò ad essere chiamata "Tor da Mosto".

Epoca moderna

A partire dal 1815, sotto la dominazione austriaca, si sviluppò la navigazione fluviale, grazie alla quale si provvide a sistemare definitivamente gli argini della Livenza bonificando, così, l'intera area, che ebbe vigoroso e definitivo impulso sotto il regno d'Italia fino alla prima guerra mondiale.


Delegati a Borghi d'Europa :
Trattoria Isetta di Marco Frare

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Fratta Polesine,Borgo del Gusto

Fratta Polesine (Frata Polesine in veneto) è un comune italiano di 2 699 abitanti della provincia di Rovigo, in Veneto, situato ad ovest del capoluogo. L'abitato è di antichissima origine e ricco di spunti storici e culturali.
Fratta Polesine è nota per lo più grazie a Villa Badoer, opera di Andrea Palladio (1570) e patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Fratta è conosciuta anche per la vicenda dei Carbonari della Fratta, per essere il paese natale di (e dove sono avvenuti i funerali ed è sepolto) Giacomo Matteotti e per vantare la più grande necropoli d'Europa dell'Età del Bronzo.

Delegato a Borghi d'Europa :
Locanda Ristorante al Pizzon



Fratta Polesine – Veduta

domenica 16 ottobre 2016

Vidor, Borgo del Gusto

Vidor (toponimo invariato in veneto) è un comune italiano di 3 766 abitanti della provincia di Treviso. Il territorio comunale di Vidor è situato nella parte settentrionale della Provincia di Treviso, e si sviluppa per una parte in pianura e una parte in zona collinare con diversi rilievi che vanno a delimitare a ovest e a nord il Quartier del Piave, (col Polenta, 211 m; col Castellon, 235 m; col Maor, 368 m).
Il principale corso d'acqua che attraversa il comune è il fiume Piave, fiume sacro alla Patria, su cui si trova uno dei ponti che collegano la riva destra e sinistra del fiume, il Ponte di Vidor. Ci sono poi altri due torrenti, degni di nota, che scorrono nel territorio comunale: il torrente Teva e, nella frazione di Colbertaldo il rio Rosper, il quale contribuisce alla formazione dei caratteristici palù, aree umide tipiche della Sinistra Piave trevigiana.

Storia

Le origini del nome
Il nome del paese sarebbe da ricondurre al latino vitis "vite".
Nel 1986 è stata rinvenuta una piccola necropoli sotto piazza Maggiore, risalente al IV secolo. La zona era dunque frequentata in età romana, visto anche il passaggio della via Claudia Augusta Altinate. Nella zona orientale del comune, inoltre, la regolarità della sistemazione agraria proverebbe l'antica centuriazione del territorio.
Nel medioevo, l'importanza strategica di Vidor come nodo stradale e porto fluviale sul Piave (sfruttato sino al 1871), portò alla costruzione del castello, oggi scomparso, e dell'abbazia, che contribuì alla bonifica della zona. Nel XIII secolo fu fondato inoltre il Pio Ospedale di Santa Maria dei Battuti, gestito dall'omonima confraternita, con lo scopo di accogliere i numerosi viandanti che transitavano per la località.
Vidor fu colpita duramente dalla Prima guerra mondiale: trovandosi proprio in corrispondenza del fronte del Piave fu occupata dagli Imperi Centrali sino alla fine del conflitto. Durante gli aspri combattimenti, venne tra l'altro danneggiato il patrimonio artistico del paese, come la chiesa e l'abbazia.

Delegati : Azienda Agricola Frozza, Colbertaldo di Vidor
                 Soave Manto, Giochi e Apparecchiature per il Tempo Libero

Unità Tematiche : Il Patrimonio delle Terre del Gusto
                              Percorsi della Fede

sabato 15 ottobre 2016

Moriago della Battaglia, Borgo del Gusto

Moriago della Battaglia (Moriago in veneto) è un comune italiano di 2 761 abitanti[1] della provincia di Treviso in Veneto.

Le origini del nome
Il toponimo è probabilmente un prediale derivato dal nome proprio latino Maurellius o Maurilius, cui è stato aggiunto il tipico suffisso -ācus[3]. Altre ipotesi lo avvicinano a "muri", in riferimento a delle strutture difensive, o a "morìa", legandosi alla distruzione dell'antico villaggio di Nosledo. Una paraetimologia lo avvicina a "muore il lago", in quanto il paese sarebbe sorto al limitare di una zona paludosa[4].
La presenza di insediamenti umani del territorio di Moriago è provata almeno all'età del bronzo, con il ritrovamento di resti di vasellame in terracotta.
In epoca romana si sarebbero formati gli attuali centri abitati che in effetti conservano traccia della struttura del villaggio difeso da un recinto circondato a sua volta da una strada. A questo periodo risalgono diverse sepolture (I-II secolo) e una probabile centuriazione ancora ravvisabile tra il Rosper e il terrazzo delle Rive.
Durante le invasioni barbariche, gli abitanti si spostarono in località più sicure (i Palù, l'area a nord della chiesa di Moriago, Nosledo, la scarpata di accesso alle Grave), ma al termine delle scorrerie ripopolarono i vecchi villaggi.
Il capoluogo comunale è citato per la prima volta nel 1112 come Murliago. Nel medioevo si assistette alla feudalizzazione della zona, ma dal XIII secolo le signorie locali rinunciarono ai propri diritti cedendo la sovranità al Comune di Treviso. Nello stesso periodo i frati del monastero di Vidor intrapresero un'importante bonifica del territorio.
Passato alla Serenissima, Moriago fu a lungo sottoposto alla vicina Vidor. Nel 1807, sotto Napoleone, fu costituito l'odierno comune, tuttavia nel 1810 venne soppresso e aggregato nuovamente a Vidor. Riacquistò la propria autonomia nel 1819, durante il governo austriaco.
Come ricorda lo stesso toponimo, il paese subì le distruzioni della Grande Guerra trovandosi lungo il fronte del Piave. Di questo periodo va citata l'eroica impresa del 27 ottobre 1918 quando le truppe del XXIII Corpo d'armata, agli ordini del generale Giuseppe Vaccari, riuscirono ad attraversare il fiume e a sfondare le linee nemiche presso quella che si chiamò poi isola dei Morti. Questo evento pose le basi per la definitiva battaglia di Vittorio Veneto.


Delegato : Salumificio Spader (Mosnigo di Moriago della Battaglia)

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Motta di Livenza, Borgo del Gusto

Motta di Livenza

Motta di Livenza nel 1291 viene nominata "Figlia primogenita della Serenissima". Nel 1511 "Figlia prediletta della Serenissima Repubblica". La sua storia è legata alla storia di Venezia. Trovandosi lungo la Postumia, un'antica arteria dell'Impero Romano, a pochi chilometri da Concordia Sagittaria e Oderzo, due città d'epoca romana, fu luogo di transito e poi terra di feudi e diocesi. La Curte in Laurentiaca citata nel 762 dai figli del duca Pietro del Friuli, oggi chiamata Lorenzaga e frazione di Motta, ne testimonia l'origine a sinistra del Livenza. Con buona probabilità è questa la ragione che nei documenti antichi spesso Motta viene localizzata in terra Friulana essendone il Livenza il fiume che da sempre detrmina il confine delle due Regioni.
Il nome Lorenzaga deriva dai possedimenti di un colono romano Laurentus o Laurentius, un prediale (luogo geografico che prende il nome da un possessore) appartenente alla diocesi di Concordia e al Patriarcato di Aquileia.
Il primo insediamento sulla riva destra del Livenza e in prossimità della confluenza del suo affluente, il fiume Monticano, fu un Castello dei Da Camino (1300) . Marin Sanudo il giovane (1466-1536) diarista così la descrisse: "...due fiumi che qui s'accompagnano e bagnano la Rocca". Poi antistante all'antico Castello si sviluppò il Porto della Mota, dove le merci dei Veneziani dall'Oriente sbarcavano per proseguire via terra in Europa. Ma è dal Quattrocento che diviene luogo importante per Venezia e che diede i natali a grandi personaggi in campi diversi.
Caratterizzano e raccontano la storia di questa città due chiese, la Basilica della Madonna dei Miracoli, e il Duomo di San Nicolò (foto a tergo) attorniato da un antico nucleo di case costruite nel tipico stile del luogo tra cui quella che fu del cardinale Girolamo Aleandro, detta "la castella" (foto a tergo) e oggi di proprietà comunale, nel cuore di Motta di Livenza.
La chiesa di San Nicolò, dove sono sepolti il cardinale Girolamo Aleandro e l'anatomo-chirurgo Antonio Scarpa, illustri cittadini che Motta diede i natali, è uno dei più significativi monumenti storici della città. Risalente al 963 d.C. (come testimonia un'antica iscrizione ritrovata nella Chiesa nel corso del XVI secolo e di cui ci dà notizia Lepido Rocco nel 1896 nella sua opera letteraria "Motta di Livenza e suoi dintorni") testimonia che la città esisteva, in un nucleo ridotto, già prima dell'anno 1000 e prima dell'insediamento del castello dei Da Camino.
La chiesa, alla fine di febbraio del 1516, considerato l'anno di nascita della nuova Chiesa di San Nicolò, fu visitata dal Vicario del Vescovo di Ceneda, in quanto stava per essere demolita; questi ordinò di conservare la chiesa e porre una trascrizione in parete in ricordo della sua fondazione: "Jesus: Plebanus Sancti Joannis Baptistae et Populus Castri Mothae me facerunt construxerunt et adoptaverunt, et in Iuspatronatum dicte Plebis et Populum dicti Castri constituit temporibus me reliquierunt . Nel testo si dichiarava che era stata costruita e presa in giuspatronato dal pievano di San Giovanni Battista insieme con di Motta nell'anno 963. Jesus: Plebanus Sancti Joannis Baptistae et Populus Castri Mothae me facerunt construxerunt et adoptaverunt, et in Iuspatronatum dicte Plebis et Populum dicti Castri constituit temporibus me reliquierunt" . Nel testo si dichiarava che era stata costruita e presa in giuspatronato dal pievano di San Giovanni Battista insieme con Motta. La Chiesa di San Nicolò, infatti, fin dalla sua fondazione dipendeva dall'antica Pieve di San Giovanni e per lungo tempo fu affidata a un sacerdote officiante, facente le veci del pievano di San Giovanni. Prima del 1388, anno dell'elezione di Motta a Podestaria, S.Nicolò fu la "Chiesa del Signore del Castello", in altre parole della famiglia Da Camino, dopodiché diventò la "Chiesa del Podestà".In considerazione della crescente affezione che il popolo mottense manifestò verso la chiesa, il Consiglio della Magnifica Comunità nominò nel 1468 il primo Cappellano di S. Nicolò. In quel periodo, il centro abitato, sorto intorno al Castello, ebbe un notevole sviluppo.
Questa situazione fece aumentare l'importanza della Chiesa di San Nicolò tanto che, nel 1486, il Consiglio deliberò che la residenza del pievano fosse trasferita a Motta al fine di assicurare un proficuo ministero religioso agli abitanti. Questa volontà popolare fu però accolta dalla Curia soltanto dopo una lunghissima diatriba, nel 1566, quando il pievano si stabilì a Motta e vennero in seguito, nel 1586, portati ufficialmente i Sacramenti da San Giovanni.
Nel 1497, sempre il Consiglio ordinò la costruzione del campanile, che fu ultimato nel 1501. Due anni dopo, mostrò alcuni segni evidenti di cedimento strutturale che portarono alla decisione di palizzare l'edificio per potervi eseguire i necessari lavori di consolidamento.
Tuttavia, il terremoto del marzo del 1511 compromise definitivamente la già precaria opera muraria della chiesa e, nel 1516, si decise di procedere con la riedificazione dei vecchi muri utilizzando la pietra viva. Il cantiere si chiuse dopo un lunghissimo tempo, alla fine del Cinquecento, anche grazie alla provvidenziale intercessione del Cardinale Girolamo Aleandro che spinse Papa Paolo III (1534-1549) a offrire la somma di 281 ducati pro Fabrica Sancti Nicolai in Mothe.
La direzione dei lavori fu affidata a Padre Zorzi, architetto di Venezia e amico di Jacopo Sansovino, già presente a Motta con l'incarico di supervisore della fabbrica della Chiesa della Madonna dei Miracoli dal 1510 al 1513 (anni di costruzione della Basilica a seguito di una apparizione della Madonna). Gli scalpellini che lavorarono erano i veneziani Buora figli di Giovanni che aveva lavorato con l'architetto Mauro Codussi nella chiesa di San Michele. I lavori si protrassero a lungo e si arrivò fino al 25 giugno 1672 quando finalmente il Vescovo di Ceneda Pietro Leoni consacrò il Duomo di San Nicolò. Ancora oggi le due chiese Basilica e Duomo, costituiscono i due centri della città e ne sono i punti di riferimento geografico.

Delegato a Borghi d'Europa :  Azienda Agricola Vignepiane
Unità Tematiche :  Percorsi della Fede
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                               Le ferrovie non dimenticate
                               Aquositas,Circuito delle Terre d'Acqua




La Basilica della Madonna dei Miracoli (1510) (Progetto di Padre Francesco Zorzi)
La Castella
La Castella casa del cardinale Girolamo Aleandro con affreschi dell' Amalteo